Una vigna controvento

Da anni ci dedichiamo al recupero e ringiovanimento delle vecchie viti sui terrazzi della Valtellina…

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Ogni anno, da decenni ormai, è in corso un continuo abbandono delle terre alte. “Sta finendo una generazione“, quella dei nati negli anni 30 e 40 del Novecento, gente tosta e dalla pelle dura. Molte di queste viti le hanno ereditate, a loro volta, dai loro avi e, ora, molti dei loro eredi stanno tralasciando un modello di vita e delle viti con una storia plurisecolare.

 

Ovviamente non bisogna ostinarsi troppo ma… evitare la totale perdita di un Patrimonio in atto, nei limiti del possibile, essendo consapevoli del valore degli aromi che solo le uve di queste antiche viti sanno sprigionare nei vini, ci danno la forza per dedicarci alla viticoltura eroica nel senso stretto e profondo della parola.

Spesso ci troviamo di fronte piante secolari, con porta-innesti americano originario post fillossera, qui lo chiamano Selvadeck, (420 A per i tecnici); il suo valore aggiunto sta nell’innesto stesso, effettuato a inizio ‘900 dal viticoltore tuttofare d’un tempo, fatto a mano, da mani esperte, con metodi semplici, semplicemente con l’ausilio del coltellino ri-chiudibile (pudì o méla). Pertanto si faceva un innesto privo delle problematiche attuali riguardanti le malattie del legno, non esistevano “vivai certificati” ma la garanzia era ed è data dalla durata di queste preziose viti che, seppur spesso maltrattate e sfruttate all’inverosimile dai nostri nonni, sanno ancora produrre una buona quantità di uva e soprattutto estrapolare, grazie alle loro profonde radici fin dentro la roccia madre del versante, i sali minerali e le essenze aromatiche che, con un uva ben matura e selezionata, riusciranno a farci assaporare, ancora una volta, il ventre generoso della fertile terra.

 

Su questi porta-innesti ancestrali erano innestate le gemme delle piante migliori, che il viticoltore conosceva una ad una, garantendo una variabilità genetica, in tal caso al nostro Nebbiolo – Ciuvinasca (e altri vitigni locali), che ancora attualmente è riscontrabile nelle poche vecchie vigne rimaste, con una decina di diversi biotipi di Ciuvinasca che, oltre ad avere grappoli e foglie che differiscono, garantiscono un’ampissimo spettro organolettico di uve e vini…

I nuovi impianti di Nebbiolo (ma non solo), hanno una vita molto più breve e sono costituiti da viti cloni di poche piante madri, con una enorme perdita ed erosione del patrimonio genetico.

 

La nostra opera consiste nel ringiovanimento, con tagli corretti e attenti, dei tronchi contorti e rugosi, l’eliminazione del classico archetto valtellinese che, pur essendo un magnifico cimelio della viticoltura medievale locale, però non ci consente di arrivare a una perfetta maturazione delle uve.

Stiamo sperimentando nuove tecniche di potatura e gestioni innovative nonchè sperimentali che, anche se con fatica, ci consentono di dimezzare le ore di lavoro in queste vigne beatamente non meccanizzabili e, quindi, contenendo le spese e aver il tempo per poter recuperare sempre nuovi-vecchi vigneti così da garantirne la tutela, salvaguardando le rare remote viti per poterle, a nostra volta, tramandarle alle future generazioni.

 

L’ultima vigna sottratta a un incombente abbandono si trova in una zona dal forte valore simbolico, a La Bissa, un ventoso promontorio a poca distanza da Caven (Teglio – Sondrio), luogo ove sono state rinvenute le incisioni rupestri, tra cui la stele della Dea Madre, conservata ora nell’Antiquarium Tellinum del Palazzo Besta.

Il labirinto di filari, storti pali di castagno, muretti in pietra a secco con scale e gradini monumentali ha una dimensione vitata di circa un ettaro e, purtroppo, ben pochi hanno idea dell’enorme valore dell’opera che si sta compiendo.

 

La forte connotazione spirituale del sito spesso è percepibile da tutti coloro che, ora come allora, trascorrono le giornate a gestire e accudire la vigna e, di tanto in tanto, il pensiero parte spinto dalla brezza che sale nel meriggio dal fondovalle e vagheggia allietando le fatiche…

 

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