Il futuro della montagna

Nell’era della globalizzazione, qual è il futuro dei territori marginali, come la montagna?

Territori marginali rispetto – s’intende – al grande flusso di persone, cose e informazioni proprio dei centri metropolitani. Territori in cui si può, quindi, immaginare un modello di vita peculiare, alternativo. Non più basato su una crescita indefinita, oggi in crisi. Crescita che rappresenta in sé l’essenza della città, della grande città, della metropoli.

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Ora, la metropoli è basata sull’accumulazione: di persone, di risorse, di produzione. La montagna, la valle alpina si basa invece sulla diffusione, sulla dispersione dell’antropico, dell’elemento umano sul territorio. La metropoli esalta l’artificiale, l’artificio volto a massimizzare il benessere e il potenziale creativo, associativo, economico, culturale… la montagna, la ruralità alpina favorisce invece l’armonia fra elemento umano ed ecosistema naturale. Ma questo può avvenire a condizione che la montagna (o la campagna) non imitino la città, facendo propria la logica dell’accumulazione, della crescita.

Come sarà dunque la comunità montana del futuro? (comunità montana non nel senso dell’istituzione ovviamente, ma della non-città alpina nel suo complesso, rete di centri abitati diffusa sul territorio)

Essa potrà essere sostenibile e autonoma, perché basata su un’agricoltura e uno sfruttamento delle risorse del territorio sostenibili, alla base. L’autonomia come concetto e prassi funziona solo se è tale rispetto ad ogni livello considerato, quindi già il singolo villaggio sarà tendenzialmente autonomo, attraverso una filiera produttiva più completa possibile, una rete di saperi e mestieri distribuita sinergicamente fra i suoi abitanti, assecondando predilezioni, talenti, libera iniziativa. Inoltre ogni villaggio avrà sviluppato delle produzioni di eccellenza, legate alla storia, tradizioni e caratteristiche della località stessa, produzioni che verranno distribuite e condivise nei territori circostanti. Ma la base sarà a km 0: vini naturali, prodotti preservando le storiche coltivazioni e vinificazioni, cereali alpini, ortaggi, frutta, allevamento, erbe spontanee che nell’insieme avranno ripristinato la dieta alpina, insieme a tutti i suoi benefici. Attraverso varietà antiche e quindi adattate agli ambienti e ai micro-climi, metodi naturali o a impatto minimo, rispetto delle stagionalità, della semplicità e della frugalità proprie dell’era pre-tecnologica, ma con a disposizione tutta la tecnologia ad aiutare e ampliare possibilità e creatività.

Essa potrà essere ricca: ricca di armonia fra vita, cultura e bellezza, memoria storica, conoscenza e consapevolezza del territorio, paesaggio antropomorfizzato e non, esigenze produttive e di consumo. Ricca quindi di attrattiva per un turismo alla scoperta di luoghi, identità e stili di vita della montagna, in una rete di nuovo sinergica fra ristorazione, agriturismo, artigianato, sport, natura e tutto ciò che la vita in montagna offre. In cui l’eccedenza del coltivatore diviene materia prima per l’osteria locale che attrae viaggiatori e ospiti del territorio. Viaggiatori che scopriranno come la montagna e i suoi abitanti del futuro sappiano riproporre il patrimonio degli antichi con rinnovata intelligenza, in un’ottica non più di mero sfruttamento delle risorse ma di ciclicità della biosfera. Non si sfrutterà irresponsabilmente quanto indispensabile al capriccio umano, ma si preleverà il necessario restituendo il possibile, senza impattare e stravolgere le eco-nicchie, imparando a non-fare, a conservare, restaurare, rallentare… uno-due ettari per famiglia, produzioni con metodi che riducano ore di lavoro e impatto sull’ambiente, sapori veri, micro-economia diffusa e cooperativa: ecco la ricetta per la futura ricchezza della comunità montana.

Essa potrà dunque essere libera: libera di offrire uno stile di vita in cui è raggiungibile un equilibrio fra artificiale e naturale, fra ego e rinuncia a sé, dove l’immagine personale non è tutto, dove l’autonomia non è individualismo, dove si può ricercare la pace interiore oltre ad ogni altra forma di umana realizzazione. Libera di non esasperare la divisione del lavoro, ma scoprire la dimensione artistica dell’opera umana, al posto di una alienante iper-specializzazione che la civiltà metropolitana della tecnica impone. Sarà una libertà da…. una libertà di… e queste le abbiamo dette, ma sarà anche e soprattutto una libertà per.

Per l’ulteriore futuro della montagna e del pianeta.

 

In collaborazione con Emanuele Del Curto

Direttore del centro Aletheia di Sondrio

“Pionieristica per la Montagna del futuro”

Le Patate In Cucina

Raetia Biodiversità Alpine

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In base alle differenti caratteristiche della polpa, la patata possiede una diversa attitudine gastronomica e viene classificata nelle seguenti tipologie:

  • Tipo A : Patata da insalata a polpa soda. Non sfiorisce, è di grana molto fine di sapore delicato, possiede inoltre un basso contenuto di sostanza secca (17-19%). Eccellente per la cottura a vapore, buona come la patata gratinata ma non adatta per purè e gnocchi.
  • Tipo B: Patata abbastanza soda, adatta per tutti gli usi. Sfiorisce leggermente e si sfalda poco dopo la cottura. Di sapore delicato, debolmente farinosa e poco umida. Ha un contenuto medio di sostanza secca compreso tra il (18-22%). Abbastanza buona come la patata da insalata, ottima al forno e fritta ma non eccellente per la preparazione di gnocchi e purè.
  • Tipo C: Patata farinosa, sfiorisce dopo la cottura. Presenta una pasta piuttosto tenera, farinosa, asciutta ed ha una struttura molto grossolana. Sapore forte e…

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Non ci sono più i semi di una volta. E invece sì

teodoromargarita

Leggere sulla stampa mainstream, ovvero quella più popolare, quella che leggono, più o meno tutti, sopra un argomento molto poco conosciuto come la biodiversità in agricoltura, un articolo ben documentato, asciutto senza essere noioso, che riporti gli autori importanti in gioco in Italia, non è scontato. Ed è successo. Venerdì, inserto della Repubblica, 25 agosto, vengo a saperlo perché Massimo Angelini lo inoltra anche alla mia associazione, Civiltà Contadina.

Riesco a procurarmi anche il numero originale, altra cosa dal Pdf, sapere in quale contesto è collocato un determinato servizio, quale rilievo abbia in quel numero, è importante.

Intanto si parla proprio di seedsavers, salvatori di semi. L’articolo è nato certamente durante il Mandillo dei semi di quest’anno, lo scambio che organizza il Consorzio della Patata Quarantina.

Da quel momento arrivano le foto. Riconosco Patrizio Mazzucchelli, di Teglio, artefice della rinascita del vero grano saraceno. Ecco il logo…

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