Elogio di una sortita orobica nel territorio di Teglio, tra Moia e Bondone passando per le rovine dei Gioz.
Il versante delle Orobie valtellinesi rimane, per lunga parte dell’inverno, un luogo abbandonato, silenzioso, tranne per il brulicare degli animali, e oscuro. Questa zona, esposta quasi totalmente a Nord, è spesso trascurata dall’uomo, così come dal sole che, per mesi, non batte su piante e suoli orobici quindi, qui, in questa stagione, si vive di luce diffusa che illumina le opposte Alpi Retiche e la zona di Teglio.
Dalla località Moia di Carona, sita a circa 1100 metri s.l.m., si sale, seguendo antiche vie, tracciate da uomini e bestie, tra i boschi dove, remoti nuclei di case, sono ora avvolti da ortiche e giganteste piante che hanno fenduto i muri con le loro radici. Poco oltre l’abitato s’intravedono le rovine dei Gioz, presumibilmente importante familia locale, date le costruzioni ancora presenti, con angoli massicci che, con un amico proviamo a datare, verosimilmente risalenti al XVI secolo.
Il suono dei passi su rami e foglie secche, un sottile strato di neve sciolta e gelata più volte, l’aria fina, queste mura che s’ergono mute e imponenti, alberi nella spettrale veste invernale, sono solo alcune delle peculiarità nei meandri degli innumerevoli ruderi abbandonati che s’incontrano su tutto il versante orobico. Osservando ciò che rimane delle pareti delle case, si nota il richiamo a tecniche edilizie come l’opus spicatum, metodo in utilizzo sin dai tempi degli antichi Romani.
Giungendo ai circa 1250 metri di quota di Bondone, tra moderne ristrutturazioni di vecchi edifici preesistenti, si possono ancora ammirare alcune, purtroppo poche, dimore arcaiche tipiche del luogo. Vediamo un cimelio d’altri tempi, il portone ligneo d’una cantina o cucinaccia contorniato da un arco a tutto sesto in pietra, forse l’unico rimasto nel paese, e chissà per quanto ancora…
Altre strutture che ci colpiscono sono le ultime (due) baite in legno su basamento in muratura, simili alle livignasche tee, incastri maschio-femmina di tronchi d’abete, ora inclinati seguendo le pieghe del legno, con la copertura sorretta da capriate; stalla al piano terra e fienile sopra.
Peculiarità che scopriamo sono le fascette di fusti di segale utilizzati come isolante tra le fessure, per evitare che l’aria, spesso gelida, della ValBondone penetri all’interno, questa è un’importante testimonianza diretta delle colture presenti qui nel passato.
La fioca luce cala sempre più così si torna sui propri passi, in direzione Moia dove, in meditazione davanti al fuoco della stufa, il 91enne Albino, che vive qui tutto l’anno, ci ospita per una chiaccherata e un bicchiere di vino, così da concludere in bellezza la camminata rievocativa.
Alla sua!