C’era una volta una vigna abbandonata

Gennaio, giornate gelide, il sole è ancora celato e sbuca solo per qualche ora durante il dì nel ciel sereno, da dietro le montagne.

Tra i vigneti terrazzati di Valtellina sempre più spesso s’incontrano vigneti abbandonati, con piante di vite ancestrali, pali di sostegno dei filari in castagno e fili di ferro della spalliera, il tutto ben avvolto da un groviglio di rovi, erbacce e i primi arbusti colonizzatori.

Di certo, questo scenario, questo paesaggio dell’abbandono, frutto di mutamenti di attività umane e conseguenti movimenti di popoli in altre zone, ha un suo fascino, dona all’attento osservatore sensazioni forti di una natura maestosa, che s’attorciglia a ciò che rimane del lavoro dell’uomo e ne prende nuovamente il possesso, con rinvigorita energia.

Da buon Recuperatore di proffessione quale sono, da tempo miravo di andare a sottrarre un po’ di spazio ai rovi per magari, in futuro, ritornare in questa terra a coltivare qualche patata della biodiversità alpina, oppure cereali antichi di montagna o chi lo sa.

Solitamente, se i vigneti e soprattutto le viti sono in condizioni migliori, il mio “piano di recupero” si basa esclusivamente sul ripristino delle piante con il loro ringiovanimento, seppur siano spesso molto datate, sono le viti migliori! Ma in questo caso non è stato possibile…

Quindi, munito degli attrezzi di base ho iniziato a liberare il terreno dai fili di ferro dei filari che s’erano mimetizzati tra la vegetazione. Li riutilizzerò nelle ultime vigne che ho recuperato, a cui mancano alcune parti della struttura palizzata.

Oltre ai fili vi ho trovato, nascosti sotto una fitta coltre di erba secca e rami, i vecchi pali (pasù), alcuni con segni di carbonizzazione. Probabilmente qualcuno prima di me ha provato a “bonificare” questo appezzamento, che al momento si trova tra altre due vigneti, con l’ausilio del fuoco, pensando che incendiandolo tutto magicamente svanisse, difatti così non è stato.

Ho ritrovato anche un piccolo nido, presumibilmente di merlo, s’erano appostati ottimamente tra i filari ai lati che, durante l’autunno, sono carichi di uva Nebbiolo – Chiavennasca, una lussuria anche per loro!

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Così, tra una foto e un taglio con il decespugliatore a lama metallica, nell’arco di due ore pomeridiane, ho fatto “sparire” le infestati e 180 metri quadri di terra, ormai naturalmente rigenerata dopo l’abbandono, sono tornati disponibili per semine future.

Ovviamente si andrà a coltivare con metodi naturali, lasciando che acqua, sole, composizione del suolo e tutti gli altri innumerevoli fattori, facciano del loro meglio dandoci qualche frutto senza che si sottragga troppo alla terra stessa. Infatti, si procederà con la pacciamatura naturale con detriti, fogliame e se capiterà anche dell’ottima lana di pecora.

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E domani andremo a recuperarne altri?!

Consapevoli che, se non si lavorasse la terra in modo naturale ma convenzionale, con sostanze chimiche e pesticidi di sintesi, sarebbe molto meglio e più opportuno lasciare che il bosco prenda il sopravvento.

 

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Potare è Poetare.

camminare controvento (in Valtellina) a cura di Orto Tellinum

Con la caduta delle foglie, la pianta di vite, ci comunica che ha terminato l’accumulo di sostanze di riserva nelle radici ed è pronta per il suo letargo invernale.

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I tronchi vecchi e spettrali, il legno scavato e incurvato dal tempo sono solo alcuni degli aspetti predominanti di un vigneto semi-abbandonato qui, in Valtellina.

Uno scenario dal fascino gotico immerso nel gelo, in attesa di uno spiraglio di luce, magari qualche lieve raggio di sole che sbucherà tra le vette innevate.

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Muniti di forbici e seghetto s’inizia a tagliuzzare e spezzettare, mai a caso (!) ma partendo dalla parte della pianta più lontana dal palo di sostegno da dove vi è il suo piede. In principio si scelgono e si mantengono i tralci dell’anno migliori (vigorosi e lunghi, con molte gemme), sorti sui rami di un anno, quelli che sono stati fissati e legati alla struttura l’inverno precedente, saranno quelli…

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